Le origini del sake non sono del tutto certe, ma pare che già nel periodo Yayoi (300 a.C. – 300 d.C.), quando la coltivazione del riso giunse in Giappone dalla Cina, i giapponesi avessero iniziato a produrre una bevanda alcolica utilizzando questo cereale.
Il primo sake
La prima forma di sake si chiamava KUCHIKAMI NO SAKE (口噛みの酒 = sake masticato) perché il riso veniva masticato e poi sputato in una tinozza, dove avveniva la fermentazione. Durante la masticazione, infatti, l’amilasi o ptialina presente nella saliva trasformava l’amido in zucchero e i lieviti presenti nell’aria facevano il resto provocando una sorta di fermentazione.
La bevanda così ottenuta non era chiaramente quella che siamo abituati a consumare oggi, quasi sempre limpida e chiara. Si trattava infatti di un sake chiamato doburoku, una bevanda densa e lattiginosa, non filtrata.
A quell’epoca il sake veniva prodotto solamente a scopi religiosi e utilizzato in cerimonie e riti sacri. Fu infatti a Nara, l’antica capitale del Giappone, che nel 689 d.C. venne fondata una vera e propria casa di produzione per la fermentazione nel palazzo imperiale.
Il periodo Nara
Fu solo nel periodo Nara (710 – 794 d.C.) che si iniziò a produrre il sake utilizzando il koji, un fungo che trasforma l’amido del riso in zuccheri semplici. Il libro Engishiki, pubblicato nel 927 d.C., tratta proprio del processo di fermentazione con l’utilizzo di riso, acqua e koji.
Negli anni successivi, nelle epoche Kamakura e Muromachi (1185-1573), templi e monasteri iniziarono a produrre il loro sake, cosa impossibile fino a poco prima dato che, come abbiamo visto, la produzione di questa bevanda avveniva solo ed esclusivamente all’interno delle mura della casa imperiale.
Fu in questo periodo che iniziarono a essere usate e affinate tecniche di lavorazione giunte poi fino a oggi, come ad esempio la raffinazione del riso, utilizzata per produrre un sake che veniva chiamato Morohaku.
L’opera Tamon-in Nikki, pubblicata nel 1569, inoltre, descrive un vero e proprio processo di pastorizzazione, facendoci quindi capire che i giapponesi avevano iniziato a usare questa tecnica ben 300 anni prima della scoperta di Pasteur.
Pian piano, grazie all’apprendimento e alla diffusione di queste nuove tecniche e anche allo sviluppo della lavorazione del legno, che permise di lavorare con botti di grandi dimensioni, la produzione del sake iniziò a non essere più riservata solo ai monaci chiusi nei templi, ma iniziò a diventare una vera e propria produzione di massa.
Il periodo Edo
Nel periodo Edo (1603-1868) il sake era ormai diventato una bevanda popolare e il suo trasporto in botti (taru) via nave da Osaka a Edo, l’attuale Tokyo, avveniva in grandi quantità. Si trattava di un sake con una percentuale di acqua del 50% rispetto al riso raffinato, cosa che ci fa capire che all’epoca preferivano probabilmente un sake più forte, oltre che più dolce e denso di quello che siamo abituati a consumare oggi.
In questi anni vennero definite alcune cose fondamentali nel campo della produzione di questo fermentato, che portarono ad avvicinarsi sempre più al sake dell’era moderna. Si stabilì ad esempio che se il sake viene prodotto in inverno, il prodotto finale sarà di qualità superiore; venne introdotta la figura del toji, tuttora il responsabile massimo dell’intero processo di produzione, colui dalle cui scelte dipende la riuscita o meno di un buon sake; si affinarono le tecniche Hi-ire, la pastorizzazione a basse temperature, e Sandan Jikomi, la fermentazione divisa in tre step.
L’Esposizione Universale di Vienna
Nel 1873, nel periodo Meiji (1868-1912), il Nihonshu viene presentato per la prima volta al mondo durante l’Esposizione universale di Vienna, e negli stessi anni il governo, comprese definitivamente le enormi potenzialità di questo fermentato, iniziò a istituire pesanti tassazioni sulle bevande alcoliche.
Le epoche successive videro infine la nascita del sake raffinato, l’introduzione di una prima classificazione del sake, poi abolita e sostituita da quella attuale nel 1992, l’invenzione delle macchine a raffinatura verticale e l’apparizione dei primi contenitori smaltati.
Pian piano anche alcuni paesi al di fuori del Giappone, come USA, Brasile, Taiwan, Corea e Cina, iniziarono a produrre sake, anche se pare che a breve uno dei requisiti obbligatori per poter chiamare questo fermentato Nihonshu, sia proprio quello di essere prodotto all’interno del Giappone. E tutto sommato, vista la cultura millenaria che lo caratterizza, indissolubilmente legata alla storia di questo paese, noi pensiamo che sia giusto così.