Come viene prodotto il sake?
Il sake è un fermentato che viene prodotto con riso, acqua, koji, un fungo che trasforma l’amido del riso in zucchero, e lieviti.
Ma come viene lavorato il riso e come vengono aggiunti gli altri ingredienti per poter arrivare alla bevanda alcolica finale?
La sbiancatura dei chicchi
La prima e importantissima fase della produzione del sake, dopo la scelta del riso, è la sbiancatura dei chicchi. Sbiancare significa sostanzialmente andare a “levigare” leggermente, infatti in questo processo i chicchi vengono inseriti in apposite macchine verticali (seimaiki 精米機) sviluppate intorno al 1930 e, tramite due grandi mole rotanti sferiche, vengono sbiancati in modo uniforme fino a ottenere il livello di sbiancatura desiderato in base al tipo di sake che si vuole produrre. Questa operazione riduce grassi indesiderati, minerali e proteine presenti nella parte esterna dei chicchi.
La percentuale di chicco che rimane dopo la sbiancatura si chiama seimaibuai (精米歩合) e indica la quantità di chicco rimasta ma anche che tipo di sake stiamo bevendo. La classificazione del sake, infatti, si basa principalmente sulla sbiancatura.
Riposo, lavaggio e immersione
Il riso, una volta sbiancato, viene fatto riposare (karashi 枯らし) in un luogo fresco e buio per 14-30 giorni, così da abbassarne la temperatura e recuperare l’umidità, e viene poi lavato (senmai 洗米) o in alti contenitori d’acciaio o manualmente in grossi catini, per rimuovere eventuali impurità derivanti dalla precedente lavorazione e renderlo idoneo alla fase successiva. Il riso viene poi raccolto in alcuni contenitori e tenuto in immersione (shinseki 浸漬) in acqua di sorgente per un breve periodo di tempo, monitorato in modo molto preciso con un cronometro. La durata dell’immersione dipende dalle condizioni atmosferiche, dall’umidità presente nell’aria e dalla temperatura dell’acqua, che generalmente va dai 10 ai 15 gradi centigradi. Per molti Toji questo rappresenta il momento decisivo dell’intera produzione del sake, che può cambiare in base a quanta acqua viene o meno assorbita dai chicchi di riso.
Il koji
A questo punto, il riso viene sbollentato a vapore (mushi 蒸し) per ottenere il perfetto equilibrio tra durezza all’esterno del chicco e morbidezza all’interno, condizione che viene verificata prelevando una piccola quantità di riso (hinerimochi ひねり餅) e testandone la consistenza, e poi diviso in due parti: il 20% del totale viene portato nella koji-muro, mentre il rimanente 80% verrà utilizzato in seguito nella fermentazione. La koji-muro (麴室), ossia la stanza del koji, viene tradizionalmente costruita in legno di cedro e al suo interno la temperatura e l’umidità vengono controllate con grande attenzione: 35°C, con un tempo di permanenza del koji sul riso di 48 ore.
Dopo che il riso è stato raffreddato, vengono cosparse su tutta la sua superficie le spore di koji, il quale secerne l’enzima chiamato glucoamilase, che ingloba le macro-molecole dell’amido e le trasforma in glucosio. Questo processo si chiama saccarificazione. A questo punto, abbiamo ottenuto gli zuccheri semplici necessari per la fermentazione.
Shubo e moromi
Dopo un paio di giorni nella koji muro, il riso è pronto per essere utilizzato per la preparazione dello shubo (酒母), detto anche “madre del sake”, il composto di partenza per la fermentazione che ha l’obiettivo di creare un terreno fertile per i lieviti. Lo shubo viene creato mescolando kojimai (riso koji 麴米), kakemai (riso sbollentato 掛米), acqua e lievito in una piccola tinozza da circa 200 kg. Oltre a questi ingredienti, in base al tipo di metodo utilizzato, ci può essere l’aggiunta manuale di acido lattico (sokujou-kei), che aumenta l’acidità dello shubo e impedisce ai batteri di attaccare i lieviti, oppure si lascia che i batteri dell’acido lattico si propaghino in modo naturale (kimoto-kei).Dopo il completamento dello shubo, processo che può richiedere da 2 settimane fino a 3-4 settimane in base al metodo utilizzato, quest’ultimo viene trasferito in grandi taniche dove vengono aggiunti kakemai, kojimai e acqua, andando a creare una mistura che prende il nome di moromi (醪). L’aggiunta di questi ingredienti avviene in tre step in un lasso di tempo di circa 4 giorni, ecco perché questo processo prende il nome sandan jikomi (三段仕込み), dove “sandan” significa per l’appunto “3 step”, “3 fasi”. Lo scopo di questo processo in 3 fasi, perfezionato nel periodo Edo (1603-1868), è quello di evitare che l’aggiunta degli ingredienti in un’unica volta diluisca troppo l’ambiente acido necessario alla fermentazione e che altri microorganismi si riproducano e vadano a intaccare i lieviti. Dal quinto giorno la fermentazione prosegue per altre due-quattro settimane e si parla di Fermentazione Multipla Parallela perché la saccarificazione e la fermentazione alcolica proseguono contemporaneamente. Questo spiega anche perché il sake abbia una gradazione alcolica maggiore di altre bevande fermentate.
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Le fasi finali: pressatura e imbottigliamento
A questo punto, in base al tipo di sake, ci può essere l’aggiunta di alcol distillato per un massimo del 10% del peso del riso. L’alcol aggiunto si chiama Jozo (da riso distillato o zucchero di canna) e serve ad accrescere il gusto, mettere in risalto l’aroma e prolungare la data di scadenza. Si tratta di alcol “ETHANOL” di origine agricola altamente puro (rettificato) che viene diluito del 30% e aggiunto 1-3 giorni prima della pressatura per far sì che si mescoli meglio con il moromi.
Dopo l’eventuale aggiunta di alcol, il moromi viene pressato (Joso 上槽), per separare i residui solidi (sake kasu 酒粕) dal sake appena prodotto e, in alcuni casi, micro filtrato. Il micro filtraggio non è obbligatorio e non viene sempre eseguito, caso in cui il sake viene definito MU-ROKA (無濾過). Negli altri casi, vengono utilizzati dei filtri al carbone attivo che micro-filtrano il sake e vanno a rimuovere eventuali sapori indesiderati e il suo naturale colore ambrato.
In seguito, il sake viene generalmente sottoposto a un processo di pastorizzazione a 65 gradi (hi-ire 火入れ), che può avvenire o facendo passare il sake attraverso dei tubi immersi in acqua riscaldata, oppure semplicemente immergendo le bottiglie di sake in acqua calda. Il sake non pastorizzato prende il nome di Namazake (生酒), sake crudo. L’aroma e il sapore del sake cambiano da tanica a tanica. Le kura, ossia le cantine dove viene prodotto il sake, decidono se mescolarle o no per ottenere la qualità di sake desiderata. Per abbassare il livello alcolico e aggiustare il sapore, quasi sempre viene aggiunta dell’acqua e, solitamente, la gradazione alcolica viene stabilizzata intorno ai 15 gradi. Nel caso di sake genshu (原酒), ossia sake non diluito, la gradazione alcolica può anche superare i 18 gradi, portando il sake a essere la bevanda fermentata che raggiunge naturalmente la gradazione alcolica più alta al mondo. Dopo un’eventuale seconda pastorizzazione, in base al tipo di sake, si procede all’imbottigliamento.